giovedì 21 maggio 2015

Vagando senza appigli tra Utopia e Distopia


L'Utopia di un uomo è la Distopia di un altro.

Sbam! Cominciamo subito con un'affermazione diretta, violenta, che sia magari anche impopolare e chiarisca subito il senso di questo articolo.
Sì, avete letto bene: intendo proprio dire che l'Utopia per tutti non esista, che sia un fraintendimento, un'illusione per coloro che sono convinti di conoscere la verità ultima o per coloro che ritengono sia raggiungibile, prima o poi, in qualche modo.
Qualche annetto fa decisi di dedicarmi alla lettura delle più famose utopie del mondo occidentale. Avevo già letto i capolavori distopici di Orwell (1984) e Huxley (Il Mondo Nuovo) e volevo toccare con mano le meravigliose utopie che tanto mi avevano affascinato quando ero un liceale alle prese con le interrogazioni di filosofia. Mi dedicai così alla lettura di Platone (La Repubblica), Campanella (La Città del Sole) e More (Utopia). In ognuna di queste tre letture trovai differenti opinioni sul come dovrebbe funzionare una ipotetica società perfetta, ma una cosa avevano in comune: mi lasciarono una crescente inquietudine e un amaro sapore di disgusto. Questi tre signori, questi tre giganti della filosofia, erano riusciti a tirar fuori il meglio delle loro idee su come regalare il paradiso in terra agli uomini, e ne era venuto fuori un inferno! A onor del vero ricordo di aver letto da qualche parte che More volesse in realtà scrivere una critica delle utopie, ma se per l'inglese possiamo accettare il beneficio del dubbio siamo ben certi che lo stesso non possa farsi per Platone.

L'Utopia di Platone è più terrificante di quella di 1984 di Orwell, perché Platone auspica che si realizzi quel che Orwell teme possa avvenire.
Arthur Koestler
Bella la schizofrenia occidentale. Ci osannano le Utopie della filosofia perché hanno provato a descrivere il mondo perfetto, ci mettono in guardia dalle Distopie liberticide e... E non si accorgono che in pratica sono la stessa cosa! Con una sola differenza, piccola ma ben significativa: una Distopia è immaginata allo scopo di mettere in guardia, una Utopia al contrario ha lo scopo di mostrare i pregi di un ordine sociale minimizzandone i difetti (che anzi agli occhi dell'ideatore non dovrebbero neppure esistere).

Chi pensa che i regimi comunisti dell'Europa Centrale siano esclusivamente opera di criminali, si lascia sfuggire una verità fondamentale: i regimi criminali non furono creati da criminali ma da entusiasti, convinti di aver scoperto l'unica strada per il paradiso.
(Milan Kundera)
Ma non c'è bisogno di scomodare i regimi comunisti, li conosciamo bene e siamo abituati a certi esempi. Magari invece qualcuno sarà sorpreso nel riflettere sul fatto che Hitler non era un pazzo omicida, ma un sincero sognatore che sperava in un mondo perfetto per il popolo ariano. Ecco: è sottile la precisazione, ma cambia tutto. Ogni Utopia prevede un mondo perfetto e felice, ma solo ed esclusivamente per quanti ne fanno parte.
In una Utopia non c'è spazio per il dissenso, non c'è spazio per il diverso, non c'è spazio per il mutamento. Se il mondo fosse stato popolato solo da Ariani avremmo avuto l'Utopia di Hitler, per lui i non ariani, essendo sub-umani, erano solo un ostacolo al raggiungimento dello scopo. Non erano umani, per cui il loro dolore non era rilevante e non macchiava l'utopia nazista.
Lo stesso vale per i regimi comunisti: l'utopia del proletariato era tale solo per i proletari, i broghesi e gli aristocratici (e in un certo senso anche i contadini) non ne facevano parte e per cui non era rilevante la loro sofferenza.

A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che «ogni straniero è nemico». Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all'origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano. La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo.
(Primo Levi, Se Questo è un Uomo)

Se volete possiamo andare avanti fino alla Bibbia, dove il Dio di Abramo promette una sorta di paradiso terrestre agli ebrei in una sorta di Utopia ante litteram che lascia incredibilmente fuori tutti i non ebrei dalla definizione di umanità.
Perché qualunque Utopia è destinata a fare i conti con il problema di chi è destinato a farne parte, così come dovrà fare i conti con le modalità per realizzarla. E dovrà fare i conti con le modalità per combattere il dissenso. Infatti, piccolo particolare che a volte sfugge a chi sogna la società perfetta, quel che è perfetto per un uomo non è detto che lo sia per il suo vicino di casa.
E ritorniamo quindi alla frase che apre questo articolo che mette in evidenza come sia impossibile avere una società così perfetta da mettere tutti d'accordo. La cosa poi non dovrebbe stupirci più di tanto, dato che basta fermarsi un attimo a riflettere per rendersi conto che la società civile non è nient'altro che un continuo compromesso tra gli interessi del singolo e quelli della società. La buona società è la risultante di un equilibrio liquido tra questi due poli e qualunque tentativo di rendere fissa e immutabile la pendenza di una ipotetica bilancia fra i due degenera nell'anarchia o nella tirannia, che è poi l'anarchia dei pochi.
E quindi tutti i filosofi che hanno provato a immaginare un mondo perfetto hanno sbagliato, il loro impegno è stato meritevole ma era destinato in partenza a fallire.
Ma l'Utopia non esiste neppure per il singolo uomo. Se la felicità dell'uomo dipende dalla garanzia di avere un tetto sopra la testa, un pasto caldo, cure adeguate e magari un letto caldo ad aspettarlo, è altrettanto vero che la felicità di un uomo dipende anche dalla libertà di poter scegliere ogni giorno in autonomia del proprio destino. E mentre filosofi e utopisti immaginavano le loro utopie non si accorgevano che la libertà vera spesso si contrappone alla felicità. Un uomo sarà felice quando avrà una casa, una donna da amare, dei figli da crescere come suoi eredi, degli amici, un'attività che lo renda soddisfatto. Ma tutto questo limita la sua possibilità di cambiare, di evolvere, di provare altre strade. Qualunque tentativo di cambiar vita gli farà rischiare di perdere le sue certezze e la solida sicurezza che si è costruito.
James Gunn (I Fabbricanti di Felicità) e Walter Tevis (Solo il mimo canta al limitare del bosco) hanno affrontato il tema della felicità dell'uomo e della rinuncia alla libertà che ne sembra essere la conseguenza.
Ma il capolavoro assoluto, l'opera che meglio indaga sul rapporto tra felicità e libertà è senza dubbio Il Mondo Nuovo (Brave New World) di Huxley: scritto nel 1932, questo romanzo rappresenta forse la descrizione più vivida e precisa di come un ordine sociale perfetto e indolore sia allo stesso tempo liberticida e tirannico. Quella che Huxley ha illustrato è l'Utopia perfetta: tutti sono felici perché sono fatti per essere felici di quel che hanno, o se non lo sono prendono una droga, priva di effetti collaterali, che li rende immediatamente felici. Se tutto questo sia Utopia oppure Distopia dipende, forse, solo dai punti di vista. Huxley mette per iscritto un'inquietante descrizione di quello che è oggi il vivere dell'uomo moderno. Ingrandite la foto che trovate in fondo all'articolo e avrete uno splendido paragone tra Orwell e Huxley (se non riuscite a leggerla provate qui).
E scusate se, anche questa volta, è solo fantascienza.

 



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