mercoledì 20 aprile 2016

La Rubrica dei Libri. Fahrenheit 451 di Ray Bradbury




Con questo articolo inauguro una nuova rubrica che parlerà di libri. Scriverò dei libri che più mi hanno colpito in positivo o, a volte, in negativo. Vi spiegherò perché ritengo sia giusto parlarne e perché potrebbe essere una buona idea leggerli. Scriverò di libri importanti, che hanno lasciato una traccia indelebile per contenuti e idee. Altre volte scriverò di libri semplicemente belli per una storia così coinvolgente da trasportare il lettore attraverso le pagine e cullarne i sensi. Questa rubrica parlerà di libri, di storie, di idee e di emozioni. Non ci sarà periodicità, non ci saranno scalette. Andrò per istinto, seguirò l'ispirazione del momento, o magari chiederò a voi di quale libro vi piacerebbe leggere un parere. Le mie non saranno recensioni, ma semplicemente cercherò di spiegare per quale motivo quel tale libro ha colpito la mia attenzione e perché ritengo sia il caso di parlarne. Perché i libri non sono oggetti da riporre in libreria, ma vanno presi e aperti. E letti... Soprattutto letti. E raccontati.

Come primo libro ho scelto simbolicamente un romanzo che parla di libri. Una storia che arriva dai lontani anni '50 e racconta di una società che, per garantire l'ordine e la tranquillità, ha proibito i libri e la lettura. Sto parlando, ovviamente, del famosissimo Fahrenheit 451 del compianto Ray Bradbury. Mettetevi comodi, comincia il nostro viaggio.


Guy Montag è un pompiere un po' particolare. Nel suo mondo infatti i pompieri non spengono gli incendi, ma al contrario appiccano il fuoco! Il compito di questi integerrimi difensori della collettività è quello di bruciare i libri. Il corpo dei pompieri si occupa infatti di perseguire e punire chi si macchia dell'immorale reato di lettura! Nella società immaginata da Bradbury il governo obbliga i cittadini a informarsi e istruirsi attraverso la televisione, mentre i libri e la lettura sono messi al bando perché causano l'infelicità. I libri fanno pensare, spingono le gente a porsi domande e riflettere sulla vita, sulla sofferenza, sulle assurdità e sulle ingiustizie. Leggere è un'attività che richiede tempo, pause, riflessioni e meditazione. Mal si adatta ai ritmi frenetici della vita moderna, ma soprattutto rende le persone critiche e più difficilmente controllabili. In ultima analisi, quei pochi infelici che ancora si rifiutano di rispettare la legge e continuano a leggere e far circolare quegli oggetti diabolici sono, secondo il governo, persone tristi perché non riescono a integrarsi correttamente nella moderna società felice e restano esclusi, reietti, soli.


 Montag, il protagonista di questa storia, compie con dedizione e passione il proprio lavoro finché non comincia fare strani pensieri. Comincia a chiedersi perché queste persone, questi relitti del passato, amino così tanto i libri da correre certi rischi e fino ad arrivare al punto di preferire la morte piuttosto che la separazione da quei perversi oggetti. La visione di una vecchia che si fa bruciare insieme a i suoi libri sconvolge Montag e lo spinge a chiedersi se davvero quei libri sono così pericolosi. La curiosità, la lettura veloce di poche righe, l'incontro con alcuni lettori e l'inizio di una attività clandestina di lettore porteranno Montag a cambiare completamente idea sul mondo in cui vive.


Oggi, a più di sessant'anni dalla prima pubblicazione, la domanda che ci poniamo non è tanto se davvero una società come quella descritta da Bradbury è possibile, ma piuttosto che motivo ci sarebbe mai nel vietare i libri. Secondo l'Istat in Italia nel 2015 più della metà degli italiani non ha letto neppure un libro nell'arco dei dodici mesi. Solo il 42% degli italiani ha infatti letto almeno un libro e di questi solo il 13,7% ha letto almeno dodici libri (un libro al mese!). Tutto questo senza alcun divieto o persecuzione a spaventare i potenziali lettori. Emerge da questi dati un'istantanea francamente disarmante, un'Italia che non cerca più la cultura come mezzo di crescita personale e rivalsa sociale. Una volta la sinistra conquistava il cuore della povera gente attraverso la scuola per tutti e le biblioteche pubbliche, oggi di quello slancio sociale è rimasto ben poco.

Ray Bradbury era un amante dei libri. Non soltanto della lettura come veicolo di un messaggio, ma del libro come oggetto. Il suo amore per i libri sembra quasi raggiungere vette maniacali, tanto che alle volte si ha quasi l'impressione che a Bradbury importi più del libro in quanto libro che non del suo ruolo di veicolo, di strumento, per la condivisione di idee, emozioni, storie e riflessioni. In questo senso il finale del romanzo, che non vi svelo per lasciarvi tutto il gusto di scoprirlo da soli, lascia forse un tantino sorpresi, pur conservando una potenza evocativa assolutamente notevole.
Eppure le biblioteche ci sono ancora, l'accesso ai libri non è mai stato così facile. Ma l'emergere delle tecnologie più recenti certamente sottrae tempo e attenzione al libro. La lettura richiede tempi e attenzioni di tutt'altro genere rispetto a un film o alla tv, per non parlare delle nuovissime risorse del web. Per carità, non sono Bradbury e sono convintissimo che la cultura non si trovi solo sui libri, tutt'altro! Chi crede che basti leggere un libro per sentirsi dotto e intelligente è decisamente fuori strada. Quello che conta è certamente il contenuto più che il mezzo con cui questo viene veicolato. Eppure il libro resta a mio avviso uno strumento irrinunciabile. Innanzitutto perché per secoli è stato il veicolo supremo per ogni genere di cultura. Leggere è poi un'attività che si compie da soli, in silenzio con se stessi (pur se a volte può essere praticata in compagnia) e spesso permette di scoprire su se stessi qualcosa di nuovo ad ogni pagina. Ovviamente è importantissimo scegliere il libro giusto, assecondare i propri interessi, le proprie passioni, ma senza mai privarsi della possibilità di affrontare qualcosa di alieno al nostro vivere e pensare. Alle volte si rimane sorpresi da qualcosa di nuovo e si cambia completamente prospettiva. Come dopo un viaggio.

E leggere infatti è come viaggiare, viaggiare attraverso spazi e tempi lontani, verso terre sconosciute, tempi passati o futuri, e alle volte addirittura ci permette di vivere e pensare con la mente di altre persone, di comprendere modi di vivere e pensare a noi alieni e che cambiano la prospettiva del nostro agire. Come un viaggio la lettura ci fa crescere, ci apre la mente e mostra cosa c'è oltre l'orizzonte. Senza mai cancellarlo, semplicemente spostandolo un po' più in là.
Se avrete la voglia, e la pazienza, di seguirmi in questa rubrica cercherò di proporvi ogni volta un libro diverso. Percorreremo insieme un percorso affascinante e meraviglioso tra le pagine di autori e libri che meritano di essere letti e raccontati. E magari quell'orizzonte si sposterà un po' più in là, ogni volta un po' più in là.


Vincenzo Cammalleri 



giovedì 7 aprile 2016

Fortune di nascita

Io un po' lo capisco a quel tizio che ieri è andato a farsi intervistare da quel viscido slinguazzachiappe.
Lo capisco perché non deve essere facile amare il proprio genitore e volerlo difendere da chi lo definisce un mostro. Non deve essere facile quando in effetti tuo padre è un mostro, una bestia, un animale che ha banchettato sulla carne di una moltitudine di vittime.
Non deve essere facile parlare di un padre amorevole quando intorno a te tutti ti ricordano come quel padre amorevole ne ha fatti ammazzare tanti di padri altrettanto amorevoli con figli meno fortunati di te.
O forse per certi versi più fortunati. Più fortunati perché cresciuti con l'immagine (reale, ed è una bella differenza) di un genitore rispettato non per paura ma per onestà e caratura morale. Giustamente l'omuncolo si dispiace per non poter essere accanto al padre negli anni della sua vecchiaia, dimenticando di quanti padri non sono stati accanto ai propri figli a causa di suo padre, dimenticando tutti quei figli che cresciuti senza padre non potranno a propria volta essere i "bastoni della loro vecchiaia".
Emerge da quella intervista un codice morale in cui esiste un noi impenetrabile dal quale tutto il resto è escluso, che avrebbe una sua coerenza se poi non si infrangesse pateticamente con la ridicola posa di vittima di quanti vedono solo nero o solo bianco.
Rimane da quella intervista l'evidenza di un giornalista, il viscido slinguazzachiappe, che come al solito fa domande idiote e al massimo di pancia. Inutile chiedere a un bambino se gli sembrava normale la vita che viveva a cinque anni, la risposta è abbastanza ovvia. Semmai c'era una domanda da fare, che lo slinguazzachiappe si è ben guardato dal porre: quando il tizio risponde che non è solo la mafia a commerciare con la droga e a commettere omicidi un vero giornalista avrebbe chiesto "a chi altri ti riferisci? Chi altri fa affari con la mafia?". Ecco... questa era la domanda.
E comunque, ritornando al punto iniziale, io lo capisco quel tizio (che non è solo il figlio di, ma è anche un condannato a 8 anni e spiccioli). Lo capisco perché anche io ho amato e amo mio padre. Anche io avrei voluto essere il bastone della sua vecchiaia. Anche io ne difenderei l'onore e l'immagine se fosse necessario. Come credo farebbero tutti i figli degni di questo nome. Come meritano tutti i padri degni di questo nome.
Certo per alcuni è più facile difendere l'immagine del proprio genitore. L'ho già detto in passato e quelle parole mi ritornano ancora una volta in mente:

I genitori non li scegli, prendi quelli che la vita sceglie per te. Io sono stato fortunato. È un privilegio essere tuo figlio, grazie papà.

E nel sentire storie così che mi rendo sempre più conto di quanto meraviglioso sia stato essere tuo figlio, di quanto onore ci sia nel portare il tuo cognome.
Io lo capisco quel tizio, davvero, e lo commisero. Perché io sono stato fortunato...